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PASSATO PREISTORICO E FUTURO POSTUMANO

«Il più grande mistero dell’uomo preistorico
non è contenuto nel mito di Atlantide, ma nel Ṛgveda.
Sciolto quell’arcano, l’intero enigma del nostro passato più ancestrale si dipana come per magia.»
Tommaso Iorco (Aforismi eretici, La Calama editrice, 2014).


Del mito di Atlantide se ne parla per la prima volta nei dialoghi platonici Timeo e Crizia; secondo tali narrazioni (le cui fonti vengono fatte risalire a ierofanti egizi), l’isola si trovava oltre le Colonne d’Ercole. Pare che gli atlantidei possedessero un certo dominio su alcuni poteri occulti, ma non essendo essi privi del senso dell’ego, il loro carattere eccessivamente accentratore attirò la malasorte e la loro isola, «in un singolo giorno e notte di disgrazia» (Timeo, 24a-25e), sarebbe sprofondata negli abissi marini, qualcosa come dodicimila anni fa. Di tutto ciò, a tutt’oggi, non si ha alcuna conferma certa e quest'isola non è ancora stata rinvenuta dai ricercatori subacquei. Ciò nonostante, il fascino che il suddetto mito esercita è tale che gli sono state dedicate alcune migliaia di libri (dalla saggistica più scrupolosa ai romanzi di pura invenzione), come pure diversi film e video documentari.

Dal passato preistorico, invece, ci è certamente pervenuto un documento unico e affascinante: il Ṛgveda. Grazie (pare) all’antico saggio Vyāsa che, a quanto si tramanda, lo raccolse nelle attuali dieci ripartizioni (probabilmente coadiuvato da alcuni discepoli), il libro si presenta a noi in una veste integrale. Purtroppo, però, per una di quelle strane beffe del destino, sebbene si tratti di un testo tra i più studiati e ammirati in assoluto dagli esperti (il cui numero cresce sempre più), esso non ha ancora suscitato da parte del più vasto pubblico quella accoglienza di prim’ordine che indubbiamente meriterebbe. Siamo tuttavia persuasi che — nei prossimi anni e decenni — tale raccolta di inni farà molto parlare di sé, magari addirittura giungendo a fornire le chiavi che permetteranno di schiudere importanti segreti del passato più ancestrale dell’uomo. Parallelamente, il suo contenuto — di squisita fattura poetica — veicola un affascinante simbolismo che, se adeguatamente approcciato e inteso, potrebbe essere in grado di spalancare alcune porte verso l’avvenire postumano della specie — o, per meglio dire, potrebbe aiutarci a fare luce su alcune svolte cruciali del passaggio verso una nuova specie, cui il lungo e in buona parte penoso tragitto dell’homo sapiens che attualmente siamo è inevitabilmente destinato.

Atlantide è un mito per così dire negativo, una sorta di monito per l’umanità, affinché non ripeta l’errore di aprirsi a poteri sovrumani mantenendo il proprio ego (opportunista e meschino), la propria coscienza rinserrata in un io striminzito (pur se dotato di poteri occulti che gli permettono di manipolare, entro una certa misura, la natura materiale) e non consapevole della propria unità con il tutto; per certi versi, è il medesimo errore che sta compiendo l’attuale umanità mediante una tecnocrazia aberrante, tesa unicamente a impoverire il pianeta e a sfruttarne le ricchezze (minerali, vegetali, animali e umane), da parte di una minoranza di individui egolatri, cinici, privi di scrupoli, la cui cecità (unitamente all’inconsapevolezza delle masse rese schiave) sta causando danni non meno esiziali di quelli accorsi all’isola di Atlantide. Gli esseri umani, si sa, non imparano mai nulla dalla storia (reale o mitologica che sia).

Il Ṛgveda, per contro, costituisce la testimonianza di uno sparuto gruppo di pionieri consacratisi alla ricerca della immortalità cosciente e alla trasformazione della terra a immagine del cielo. Non resta che immergersi nella sua poesia sublime per coglierne la sfida...



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