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COME È NATO IL SIMBOLISMO DEL ṚGVEDA?
E, ANCOR PRIMA, CHE COS’È UN SIMBOLO?

È stata pubblicata una epistola di Sri Aurobindo che risponde a entrambi i quesiti; traduciamo qui l’estratto più pertinente ai nostri interrogativi.

«Esistono diverse tipologie di simboli:
1. Simboli convenzionali, come quelli utilizzati dai Ṛṣi vedici, costituiti di elementi presi dalla natura circostante. La vacca venne impiegata come simbolo della luce a causa del fatto che il termine go [in vedico] significava sia raggio di luce sia vacca, e poi perché la vacca costituiva quanto di più importante esisteva per il fabbisogno dei tempi ed era costantemente esposta al rischio di essere rubata e nascosta. Una volta creato, tuttavia, tale simbolo divenne vivo. I Ṛṣi gli conferirono vita ed esso divenne parte costituente della loro realizzazione. Prese dunque ad apparire nelle loro visioni quale immagine della luce spirituale. Il cavallo era un altro dei loro simboli prediletti, oltre a costituire uno dei più facilmente adattabili, dato che la potenza e la vitalità del cavallo sono alquanto evidenti.
2. Simboli vivi, per così dire, ovvero non artificialmente selezionati né interpretati mentalmente in modo deliberato, bensì naturalmente scaturiti dalla vita quotidiana e tratti dall’ambiente che condiziona il nostro modo di vivere. Per gli antichi, la montagna era un simbolo dell’ascesa dello yoga, livello dopo livello, picco dopo picco. Un viaggio che comportava l’attraversamento di fiumi, e il dover fronteggiare nemici in agguato (animali o umani) veicolava una simile concezione. Oggi, noi paragoneremmo il procedere dello yoga a una corsa su un veicolo a motore o a un viaggio in treno.
3. Simboli aventi una pertinenza e un potere in sé. L’ākāśa o ‘etere’ è un simbolo dell’infinito, onnipervasivo, eterno Brahman. In qualunque nazionalità reca il medesimo significato. Analogamente, il Sole è universalmente rappresentativo della Luce sopramentale, della divina Gnosi.
4. Simboli mentali, come ad esempio i numeri o le lettere dell’alfabeto. Una volta accettati, essi diventano attivi e possono rivelarsi efficaci. Su questa stessa stregua sono state variamente interpretate le figure geometriche. Nella mia personale esperienza, il quadrato simboleggia la Sopramente. Non saprei spiegare con esattezza il motivo. Qualcuno, o una qualche potenza, può avere concepito tale simbolo prima che esso si formulasse nel mio intelletto. Esistono svariate spiegazioni pure del triangolo. In una determinata posizione [con la punta verso l’alto: △], può simboleggiare i tre piani inferiori [mente, vita, materia], in un’altra posizione [con la punta verso il basso: ▽] i tre piani superiori [esistenza, coscienza, beatitudine]: sicché le due posizioni possono essere combinate in un unico segno [✡]. Gli antichi amavano indugiare su speculazioni similari in relazione ai numeri, ma i loro sistemi erano prevalentemente mentali. È fuori di dubbio l’esistenza di realtà sopramentali che noi traduciamo in formule mentali quali il karma, l’evoluzione psichica, eccetera. Ma esse sono, per così dire, realtà infinite, che non possono essere limitate dalle forme simboliche, sebbene possano essere parzialmente espresse da specifici simboli; così come possono essere espresse da simboli di tutt’altro genere, oltre al fatto che un medesimo simbolo può esprimere molteplici idee differenti.»

SRI AUROBINDO
(Letters on Yoga - III).



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