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RGVEDA - F.A.Q.



Trascriviamo, qui di seguito, le risposte alle domande più frequenti ricevute da quanti, prima di acquistare la nostra edizione del Ṛgveda, si mostrano desiderosi di ricevere delucidazioni e chiarimenti.


- Prima domanda: il vostro volume del Ṛg-Veda è stato tradotto in italiano direttamente dal sanscrito vedico, oppure dall’inglese, tedesco ecc.?

Risposta: questa nostra edizione del Ṛgveda (che, teniamo a precisare, reca pure i testi originali in caratteri devanāgarī) è stata tradotta direttamente dal vedico originale: è una delle peculiarità della pubblicazione, che la rende particolarmente pregiata (un ulteriore segno di eccellenza — tra molti altri che il lettore può ravvisare personalmente — è che la traduzione è interamente in endecasillabi: essendo la Ṛgveda Saṃhitā uno dei maggiori capolavori della poesia universale, non sarebbe possibile tradurla adeguatamente se non ricorrendo a un analogo metro poetico); abbiamo comunque tenuto conto di alcune traduzioni (in particolare, quelle effettuate in sanscrito classico da esegeti, lessicografi e filologi medioevali indiani, oltre alle poche ma preziosissime traduzioni in inglese effettuate da Sri Aurobindo, il Poeta-veggente per antonomasia), unicamente ai fini di comparazione linguistica. Il fitto apparato di note, contenuto nel volume, tende sovente a chiarire il significato di termini vedici che si rivelano particolarmente ostici da trasporre in tutte le loro implicazioni e sfumature.

- Seconda domanda: avete scelto una particolare linea interpretativa nel tradurre il Ṛgveda? In caso affermativo, quale?

Risposta: “interpretare" il Ṛgveda implica necessariamente una operazione di inopportuna sovrapposizione razionale sul tessuto poetico originale. Sarebbe come legare dei pesi alle ali di un gabbiano reale: il volo gli verrà impedito (o, alla meno peggio, potrà volare rasoterra, a gran fatica). È l’errore principale compiuto dai traduttori del Ṛgveda (insigni studiosi, senza dubbio, ma fatalmente poco sensibili alla pura rivelazione poetica), a cominciare da Yàska e Sàyana, per arrivare ai moderni eruditi europei (tranne rarissime eccezioni, come Michele Kerbaker, che tradusse il Mahābhārata in endecasillabi). Interpretare la poesia, come è noto, equivale a deformare il suo puro dettato lirico, ingabbiandolo entro strutture concettuali fuorvianti, che impediscono il magnifico volo nei cieli della poesia. Immaginate come sarebbe squallido e depistante, se i traduttori dell’Odissea omerica, anziché limitarsi a tradurre nel modo più congruo possibile quell’incantevole ritmo epico, si mettessero a interpretare: l’incomparabile magia sonora scaturita dal perfetto vibrato dell'esametro greco antico si trasformerebbe nel claudicante arrancare di uno storpio perduto nel deserto! Pertanto, l’unica cosa sensata da fare, nei confronti della sublime poesia rigvedica, consiste nel trasporla in italiano senza farsi irretire dai preconcetti o dalle idiosincrasie dei sedicenti “indologi” (brutta razza di pedanti accademici, presuntuosi e saccenti, quasi sempre privi di empatia per il sublime poetico — le eccezioni, qui, sono ancora più rare e, tra queste, teniamo a ricordare con piacere il sensibilissimo filosofo samkhiano Piero Martinetti, uno dei dodici docenti universitari che si rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo, tra gli oltre 1200 cattedratici totali italiani, i quali non esitarono a genuflettersi pedissequamente alla dittatura, per bieco opportunismo — e, da allora, le cose non sono certo migliorate nel putrido mondo delle baronie universitarie, sempre più servili nei confronti del potere costituito). Il più genuino impegno traduttivo è precisamente quanto la nostra edizione vanta di offrire (nel fitto apparato di note, come è lecito e forse addirittura doveroso, ci siamo poi permessi di indicare qualche chiave di lettura).

- Terza domanda: con “traduzione integrale” intendete che avete tradotto tutti gli inni del Ṛgveda (ma proprio tutti), o tutti i più importanti?

Risposta: la Ṛgveda Saṃhitā è una raccolta di ben 1028 inni. Il nostro volume li contiene TUTTI (ma proprio tutti!), tradotti in lingua italiana (con testo originale a fronte, come una qualunque traduzione poetica che si rispetti dovrebbe sempre fare). Le poche traduzioni in lingua italiana precedentemente esistenti, ne comprendono appena qualche manciata. È stato un lavoro decennale, decisamente impegnativo, finalmente stampato su un volume di pregio (la copertina che abbiamo appositamente progettato e realizzato è bellissima, ce lo avete confermato in tanti e, a mano a mano che procedete nella lettura, si accumulano le email di ringraziamento che, bontà vostra, riceviamo di continuo: stiamo pubblicando le più significative... Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.!). Il costo del volume (appena 80 euro, per una quantità complessiva di oltre duemila pagine) è davvero irrisorio (il costo della stampa tipografica di un tomo di tali proporzioni è piuttosto elevato, senza parlare di imposte e tasse e di tutte le altre spese da sostenere — ma lasciamo da parte i piagnistei!). Il fatto è che noi ci teniamo a mantenere le nostre pubblicazioni il più possibile alla portata di tutte le tasche. Certi che i nostri lettori più affezionati apprezzano i nostri sforzi di piccoli editori, in una realtà sempre più avvilente e difficile. La “cultura”, in Italia, è in mano a lobby affaristiche — come tutto il resto! — e noi operiamo in deliberata controtendenza (faticosamente, ma con immensa gioia).

- Quarta domanda: l’aver voluto effettuare una traduzione poetica non compromette la fedeltà filologica?

Risposta: abbiamo già pubblicato, su questo sito, una pagina nella quale si può prendere visione di dieci inni direttamente estrapolati dal nostro volume. Consigliamo quindi di consultare il link corrispondente: www.lacalama.it/alcuni-inni-del-rgveda. Come si può constatare (e come dovrebbe sempre essere), la traduzione poetica non va affatto a discapito della rigorosità filologica, semmai la completa e la nobilita. Tradurre un’opera di poesia facendo ricorso a un metro poetico, non significa affatto prendersi delle libertà sul testo originale, né tantomeno rendere la lettura faticosa: tutt’altro! Occorre tenere presente che un testo ritmico-musicale (vale a dire, poetico) si presta meglio alla poesia che ad altre forme di traduzione — e la Ṛgveda Saṃhitā è un’opera di eccezionale valore mantrico-sapienziale. È inoltre risaputo che la poesia costituisce l’unico linguaggio davvero idoneo per tradurre poesia (il grande filosofo Walter Benjamin ha donato riflessioni memorabili in tal senso; mentre, per limitarsi a un singolo esempio illustre, tra tanti altri, Giuseppe Ungaretti era ben consapevole di tale verità quando si accinse a tradurre la poesia mistica di William Blake). Per concludere, riportiamo una citazione dal libro stesso, che il traduttore ha preso a modello per effettuare quest’immenso lavoro: «Qualunque trasposizione di una poesia così sublime come quella degli inni del Ṛgveda, magnifica nelle sue tinte e immagini, nobile e bella nel ritmo, perfetta nella scansione, deve offrire (se non vuole ridursi a un mero esercizio accademico privo di vita) almeno una fievole eco della sua forza poetica.» Sri Aurobindo.


...In caso di ulteriori domande da sottoporci, non esitate a contattarci: saremo lieti di soddisfare ogni vostra richiesta!



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